mercoledì 30 settembre 2015

"Two Shoes for Dancing" per CAB

CAB su Rambo in Costiera, foto Luca Dreos

Il nostro super "Cab", Raffaele Tenaglia, ha salito "Two shoes fo dancing" (8a) a DarkPoint. Ecco cosa ha scritto nei momenti di riposo prima di riuscire a portarsela a casa:
"Due scarpette per danzare

Ricorda sempre perché scali e Cosa ami dell’arrampicata.
La compagnia deve venire prima di tutto.
Gioisci perché oggi puoi arrampicare.
Torna a casa stravolto, ma contento. Libero da sovrastrutture.
Cerca la danza. Rincorrila. Anche sui riscaldi. Scala sul facile.
Non fare cazzate.

Queste sono le poche regole che mi do quando vado ad arrampicare; che sia falesia, blocchi, a vista, lavorato. Indifferente.
In una parola: armonia.

Ora, c’è questo tiro. Questo Tuo tiro.
Che mi ha stregato.
A fine luglio ho accompagnato Toni perché voleva provarlo. Mi ha spinto a farci un giro. A dirla tutta Ciano qualche anno prima mi ci aveva messo su per scherzo ma arrivavo goffamente al terzo o quarto spit ah ah ah un insaccato appeso.

Un elegantissimo 7b/c seguito da un boulder secco e cattivissimo che si presta a poche interpretazioni e nessun azzero.

Non so. Ero lì le prime volte che – davvero – non avevo idea di come passare.
Poi in un giorno di bora tutti quegli svasi e quella maledetta cannetta sempre bagnata si sono finalmente rivelati in una curiosa e dura successione dinamica di prese e posizioni e, cosa non secondaria, hanno tenuto il peso del vostro ciccioclimber agguerritissimo. Il rebus era finalmente decodificato. Avevo una sequenza.

È Incredibile, quando ti imbatti in certe concatenazioni non puoi non credere che Dio non scali. E che oltretutto sia pure un boulderista finlandese.

Purtroppo già a inizio agosto devo tornare dieci giorni in Abruzzo dai miei per i soliti problemi che ormai conosci.
Torno qui in condizioni non troppo disperate.

Ho però drammaticamente compreso la frustrazione di quegli arrampicatori che sbroccano perché il loro project è condition dependent.
Il mio – senza nulla voler togliere alla tua opera – non è chissà che mostro, anzi per alcuni è poco più che un riscaldo, ma quella cazzo di cannetta è sempre bagnata. Appena si fa umido oppure piove, piscia acqua che è un piacere.

A maggio mi ero fatto molto male al dito (puleggia e poi tendine) per cui sul tiro mi ci metto con la gioia e la spensieratezza di chi non ha nulla da perdere e che, contro ogni previsione, può addirittura già rimettersi a tirare un po’.
E poi la storia dietro il nome da sola basta…
Farò un po’ di resistenza” mi dicevo. Non amo il Baratro, per cui in estate o scalo qui o vado a far blocchi a Trnovo o Val Trenta. Ripromettendomi continuamente di andare a Felbertauern…senza mai riuscirci.

Sul lavoro è dura. Non faccio vere ferie da non ricordo più quando. Non ce la faccio. È stato un anno duro. Mollo il colpo.
Decido di prendermi una settimana di pausa.
E con tutta la pazienza di Beatrice me ne vado in Val Daone.
Cinque giorni, e non ha mai piovuto.
Gli do di ClimbOn come non ci fosse un domani.
Va anche piuttosto bene. Arrivo fino al 7A bloc, che per una loffa come il sottoscritto non è affatto male, un po’ di 6C+ e 6C, qualcosa anche flash (merito di youtube). Cerco di non lavorare troppo i blocchi. Ho troppa voglia di scalare tutto in questa valle.
Il posto è un incanto. Lo conoscete tutti.

Torno con un massimale frizzantissimo ma esausto. D’altronde fra le ferie e il week end prima sono 9 giorni di fila che scalo.
Un sogno che finalmente si avvera!
Magico.
Scalare libero, senza timer. Quando vuoi. Quando hai voglia (quindi sempre!)
Senza i giorni contati del solo sabato e/o la sola domenica.
Non mi stancherei mai di far blocchi su granito (se non fosse per la pelle).

In palestra invece dopo cinque minuti mi abbruttisco. Divento un musone insopportabile ah ah ah. Sono ridicolo, lo so. Non so perché, ma so che dovrò iniziare a lavorarci su. Probabilmente la vivo più come “fitness” che come arrampicata vera e propria…e a me la ginnastica fa cacare, da sempre. Non so, vedremo quest’inverno. Ci proverò, promesso.

Bene, torno sul tiro e - con gioia pura - cado alla zappa finale. Quella a destra della catena. Quella dalla quale si moschetta. Due volte di fila. Il blocco e il tiro passano lisci fino al lancione finale! Ottimo! Ora comprendo quello che mi diceva Sandra:
  • guarda che il tiro lo puoi fare!

E io che credevo che me lo dicessi solo perché ti facevo pena!

Ora ci credo. Dio benedica il boulder.
Torno a casa e mi regalo una cenetta in relax solitario a base di sashimi e film. Bea è da amiche (o da Abdul, chissà).
La stessa notte non dormo. Non riesco a prendere sonno. Non chiudo occhio. Sono emozionatissimo. Ci penso di continuo. Rompo le palle a Bea tutta la notte con il racconto del tiro:
  • Ma ti rendi conto?! Cado in catena!!!potrei farcela!!!
  • Ti prego lasciami dormire idiota!

salvo non arrivi qualcuno a dire che il grado è dubbio, il passo è morfo e bla bla bla (chiacchiere da bar sdoganate alla verticale; era fuorigioco, non era fuorigioco, c’era il rigore, l’arbitro è un venduto). Chissenefrega, il tiro è il mio limite attuale. E questo vale più di qualunque numero.

La fatica e l’impegno dispensato bastano (o dovrebbero bastare) a dare una “misura” della persona. Se proprio dovesse esser necessario piegarsi alla logica distorta e diffusa sui gradi.
Credo piuttosto che l’arrampicata si riveli al massimo nella sua dimensione umana, prima ancora che in quella atletica. Migliorare attraverso la fatica; scoprire parti inesplorate di se stessi. Anche nella sua variante sportiva/falesistica questa componente, sebbene con sfumature tutte sue, c’è ed è forte. Almeno io la sento tale e sento che mi trascina con sé.
La mattina mi alzo dal letto stanco ma con un unico pensiero: agguantare e stritolare quella cavolo di zanca. Mollare i piedi, portarli in orizzontale a una tacchetta fuori a destra, lontana. Sghisare un attimo. Passare la corda in catena.

Non ho altri giorni.
Se se ne riparlerà sarà fra una settimana, se va bene. E, soprattutto, meteo permettendo.

Mi preparo.
Pantaloni nuovi che mi ha regalato Bea ad Arco pochi giorni prima (ormai il mio unico paio di jeans puzzava talmente tanto che viaggiavamo a finestrini aperti).
È una meravigliosa domenica di sole, forse un po’ calda, sono mentalmente già sotto il tiro. Oramai sempre più stanco ma con una determinazione incredibilmente ferma e decisa.
Un killer.

Arrivo in dolina.
La cannetta gocciola.
La cannetta, ziocane, gocciola.
Non può essere vero…
Stanotte si è alzato vento da sud. In effetti c’è afa.
Ora sorrido. ma sul momento ho bestemmiato pure le sacre scritture.

Si vede che non è il momento.
Forse non lo merito. Forse non sono pronto.
Sicuramente non lo sono ancora “spiritualmente”.
Mi piace credere che sia il destino o Le Dieu Patrick che ancora una volta vuole suggerirmi qualcosa e io sono ancora troppo ottuso per comprenderlo, offuscato dalla mia brama “occidentale” di “impossessarmi” di qualcosa (in questo caso il numeretto) con la miope illusione dell’identificazione con essa, per poi – a peggiorare ulteriormente il tutto – ostentarla con finta modestia.

Non so.

So solo che ora sono qui addirittura a scriverne tanto è forte il desiderio. Perchè conservo ancora strozzato in gola quell’urlo; che sia di gioia o di rabbia poco importa.
Quel che conta ora è combattere.
E combattere non significa necessariamente vincere.
In un certo senso chiudere il tiro non è tutto, lo è invece il provare a chiuderlo. Buttare il cuore oltre l’ostacolo. Solo in questo modo avrò la coscienza a posto: sapere di aver dato tutto. Senza alcuna riserva.
Come dicevo a Sango: un conto è essere sconfitti, un conto è arrendersi.
Perché le mani mi sudano. Perché non ti sleghi mai.
Perché la testa va altrove. Lontano da queste luci al neon, da questo grigio ufficio, da questi libri enormi e colmi di esiti giudiziari di litigi; vaga calma per i tranquilli boschi intorno a Sezana tagliati in obliquo da quel sole ancora caldo di tardi pomeriggi di fine estate. Ovattata da un tappeto di aghi di pino su della morbida terra rossa. Dall’avvicinamento fatto veloce veloce. Con il fiatone. Perché non vedi l’ora di provare la via.

Perché il cd. lavorato dell’estate è anche questo: esser pronti in qualunque momento, non mollare, saper fallire e di nuovo tirarsi su per la corda fino all’ultimo spit, ridere dei bingo-bongo, saper aspettare, saper aggredire ma saper rinunciare, riconoscere i propri limiti ma anche le proprie potenzialità. E poi crederci. Crederci sempre.
e spazzolare tacche!

Perché alle volte, ma solo alle volte, aspettare, aspettare e poi aspettare ancora un altro po’, dopo, alla fine e solo per un attimo, possono davvero impreziosire una vita, alleggerendola, seppur di poco e seppur per un brevissimo lasso di tempo, di tutte quelle difficoltà e quelle ombre che ognuno di noi si porta dentro.

Perché in fin dei conti questa è l’unica esistenza che abbiamo.
E a noi spetta danzarci sopra.
Con la nostra gioia…e le nostre scarpette.
Aleduro. Grazie per il tiro."

Grazie a te CAB!!!

venerdì 25 settembre 2015

Gringo Esquiador

Ecco il trailer del nostro nuovo lavoro!
Enrico "Mose" Mosetti sulle cime del Perù in solitaria con gli sci!!!